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Capello. Qual modo tenne il signor Annibaie?
Leonora. Questo anch’egli.
Capello. Seguendo l’ordine suo, non si può errare, perché noi verremo tanto piú a stimare la bellezza, per vedere la celeste origine. E, tutto che il misterio abbia a parere grave ed alto, non però ciò sará fuori di proposito, percioché, essendo tanto e piú nobile l’anima del corpo quanto è maggiore il lume del sole d’ogn’altro artificiato splendore, da quella ampiezza fatti capaci del meno, amendue le bellezze insieme verremo ad apprendere.
Leonora. Cosi si faccia. Dico dunque che il sommo Fattore, dopo la creazione del mondo, veggendo questa macchina bellissima e ben composta piena ed adorna di tutte quelle cose che si possono desiderare, conobbe che aveva bisogno d’un superiore che la possedesse, il quale di gran lunga avesse in eccellenzia ad avanzare tutto il resto creato. Ed, essendo certo che, si come egli si compiaceva nella beltá degli angeli, giusto era che in cosa quasi non inferiore a loro questo mondo dementato fosse arrichito, dalla natura angelica rapi l’anima e con divino fiato la infuse nell’uman corpo del primo nostro padre; il quale, non essendo ancora formato, accioché dalla novitá d’alcun solo elemento non rimanesse imperfetto, o per gli superiori, cioè per quello dell’aria e del fuoco, troppo vessato, di tutti gli elementi, creandolo di fango, fece parteciparlo. E, per farlo in apparenzia non men bello all’occhio d’altra cosa qua giú mandata, non vide piú bella imagine né piú reverenda della sembianza angelica. E tanto piú ciò gli piacque aver fatto, quanto ch’ei non volle mai che di lui avessimo a dolerci. Perché doler ci potremmo che piú gli angeli, che noi, fossero stati eletti, senza paramento nessuno di cosa mondana, a fruire della beltá celeste; e, di piú, che noi, combattuti quasi sempre dalle cose sensuali in questo mondo, convenissimo con fatica acquistarci quello ch’essi per grazia e per dono d’Iddio posseggono, e noi in bilancia fossimo posti e venissimo a portar pericolo di non tornare onde siamo venuti. Ma, oltre che si debba dire che cosí ha piaciuto a Dio, e che dell’essere, non che di ciò,