Pagina:Trattati d'amore del Cinquecento, 1912 – BEIC 1945064.djvu/321

e debile esperienzia al paragone di loro tre, saremo sempre a vostra difesa. E vi prometto, ché ora lo mi diceva il signor Capello, ch’egli si sforzerá d’esser valoroso guerriero per voi. Si che, signora, pigliate arditamente la disiata impresa, ché, qual reina e padrona nostra, dritto è che v’ascoltiamo come oracolo. E, accioché non sia piú chi ardisca oggi travagliarvi, ina possiate di noi ora per sempre disporre, in segno d’osservanzia e d’obedienzia, vi creamo tutti per reina nostra. — E, subito levandosi da sedere, corse ad un vicino e giovinetto lauro, il quale, come se avesse avuto in sé lo spirito della bella figlia di Peneo, si può dire da se medesimo piegando i teneri rami, lasciò uno levarne, di cui fattane ghirlanda, con bella riverenzia, ne cinse i biondi ed annellati crini della signora, felice d’esser per piú d’un merito e d’una virtú degna di cosí gradito onore, il quale è piú da stimare che non sono le corone d’oro. Poiché anticamente si legge, ed oggidí si vede, che i re e gli imperadori ne’ trionfi, lasciando le pregiate per gli ori e per le gioie, di queste fiondi sacrate a Febo ed a’ poeti adornano le loro chiome. Visto questo dal signor Giovan Giorgio, festosamente accostandosele, disse: — Madama la reina, mentre che séte in stato, ricordatevi anco di me e fatemi del bene. — Oh, Dio buono, Dio buono! — rispose il conte Massimiano — se voi, che oggi abbiamo fatto reina, non fate me vostro agozzino, parnh vedere che non si dará principio ad alcuno ragionamento. Ma, se mi date autoritá ch’io possa mettere prigione il signor Giovan Giorgio, che si, che si, che gli altri staranno queti. — Non, non — diss’egli. — Io m’acqueto d’accordo, ché non voglio ir prigione altramente. — Cosi acquetatosi ognuno, e ricevuto ardire dal signor Bernardo, con maestá regale, parlò la signora Leonora.

Leonora. Onoratissima compagnia! Posciaché v’è piaciuto oggi doppiamente onorar me e questi quasi deserti luoghi, i quali mai piú forse non si potranno gloriare di cosí aventurosa sorte, elegendomi appresso per reina vostra, per ubidienzia non voglio e non posso rifiutare cosí fatto grado, il quale volesse Dio che fosse di qualche regno, come sapre’ dir io, ché