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bellezza e di mill’altre opere virtuose vi può proporre. Ècci il virtuosissimo signor Giovan Tomaso, quasi fertile giardino delle invenzioni. Ècci il nostro bassanese, da me per altro tempo d’ingegno elevatissimo conosciuto. Ècci il conte Annibai Lambertini, spirito di prontezza e d’acutezza e di vivacitá, da non esser posposto ad altro e ch’io doveva ricordar prima. Ècci il conte Massimiano, il signor Giovan Giorgio e questi altri signori, i quali tutti piú di me sanno, e meglio di me possono sapere, qual materia piú possa aggradire a cosí nobile compagnia. Ci sete voi infine, signora, che tal saggio a tutto ’l mondo avete dato delle opere e delle virtú vostre, ch’io dir non saprei da quall’altra academica scola meglio si potesse apprendere che dalla voce e dagli scritti vostri. Siate adunque voi sola che a noi commandiate o ci porgiate materia da ragionare. — In questo, da modesto rossore tinta, la signora, e chinando gli occhi, rispose: — In cosí ottima openione potrei io felicissima chiamarmi, quando parte di corrispondenza ci conoscessi. Ma sia il nostro bassanese quello che oggi questo peso di vostro commandamento mi levi. — Quel giovane, senza aspettare altra risposta, il quale fino allora taciuto avea, disse: —So che la modestia di ciascuno di questi signori, non per avarizia de’ tesori che in sé tengono rinchiusi, ma per non si mostrare arroganti, l’uno sopra l’altro mandarebbe il peso del principio d’alcuno ragionamento. Però, conoscendo io quanto acquisto si può far oggi, e la perdita irrecuperabile che dalla dilazzione può seguire, parmi, ora che tra si virtuosa e bella compagnia ed in cosí bellissimo luogo siamo, che fuor di proposito non fusse a ripigliare il ragionamento che l’altrieri sopra la vera bellezza, e mortale e divina, incominciò la signora Leonora. Percioché ora ci sono di quelli che potranno aprirci mille belli segreti. Né molto difficile sará oggi che ognuno di noi ne possa parlare, e ritrovare il vero, e cose che altri non hanno saputo investigare. Perché della mortale ne averemo essempio ed oggetto dinanzi agli occhi, mirando la bella e reai sembianza della celeste signora nostra. Della immortale, dal bello animo suo piglieremo la forma, col inezo del cui raro intelletto faremo