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lunga passato il merigge, ogni cosa che a nobile ed a virtuosa compagnia può appartenere si ha a fare, eccetto che dormire; perché, stando noi oziosi in questi luoghi, il sonno si partirá dalle proprie spelunche d’Arabia per venire ad assalirci. — E che devremo adunque far noi — rispose il signor Giovan Giorgio — per ovviare a questo? — Pigliò subito la parola il conte Massimiano, il quale sempre aveva qualche dolce arguzia in bocca, e soggiunse: — Fate come le lepri. Tenete gli occhi aperti, ché, se bene elle cosí dormono, v’assecuro che il sonno non vi potrá tradire. — Oh, bella invenzione del piovano Arlotto! — replicò ridendo il signor Giovan Giorgio. — Sapete voi di meglio? — Cosi, fattolo alquanto arrossire, levandosi tutti da mensa, ci ritirammo in un picciolo prato, tutto attorniato di molti vaghi arbuscelli, che con l’ombre lor grate invitavano a posare ognuno che vi s’appresentava, aggiungendovi un lento mormorare d’una limpida fonte, che da quel colle scendeva e veniva ad irrigare una gran parte di quei piano. Quivi posti come in cerchio e lasciato parte degli altri chi a giuocare a tavole e chi a goder il rezo, non essendo ognuno disposto a voler restare senza dormire: — E di quale direm noi? — disse il signor Giovan Giorgio. Subito rispose il conte Massimiano: — Di quella che mi fa morire. — Oh, come voi sèie sempre sul motteggiare! — soggiunse la signora. — Non, per Dio! — replicò egli — ch’io dico da dovero; e questo è il peggio, che non mi si crede, e non vorrei mai d’altro parlare che di lei, né ad altro penso maggiormente che a lei. — Si — disse il signor Giovan Giorgio, — quando d’altro non vi soviene. — Or non piú, noiosi che voi séte! — dissella. — Oggi, poiché in compagnia abbiamo quel raro uomo, il quale tanto tempo ho desiderato conoscere e sempre ho onorato — accennando al signor Bernardo — si ha a ragionare di qualche bella e degna materia ch’egli ci proponga e poi ci la dichiari. — Rivolgendosi allora a quella il signor Capello : — Ringraziovi — disse, — gentilissima signora, dell’onore che mi date e della openione che di me avete. E volesse Dio che sofficiente mi conoscessi a’ vostri desidèri ! Ècci il signor Anton Galeazzo, che d’armi e di valorositá, di cortesia, d’amore e di