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non ci fosse, per contentezza nostra farci grazia di voi per tutt’oggi a un luogo qui vicino, acciò anco al signor Anton Galeazzo non incresca cosí afatto la sterilitá di questo paese, al quale io piú che tanto non so dar vaghezza. Ad ogni modo, questo non vi può essere d’impedimento per la vostra cura. Né mi rivolgerò molto a pregare di ciò il signor conte Annibaie né il signor Giovan Tomaso, perché confido essi non aver a volere che quel tanto che piacerá a voi. — Qui dagli due confermato questo, il signor Bernardo, non meno cortesissimo che virtuosissimo, vinto dalle dolci parole e dalle reali maniere di questa divina signora, compiacque alle sue dimande. Cosi, apprestato il tutto, ché giá il sole colle forze sue incominciava montare, messaci la via lentamente tra piedi, eccetto che il signor Bernardo, che, per la gravezza del corpo e per la maturezza degli anni, sali a cavallo, tutti insieme col signor Giovan Giorgio, col conte Massimiano da Coo cremonese, e con un giovine bassanese (di quel Bassano, il quale sopra la Brenta, non lontano da’ monti Euganei, è edificato, a differenzia degli altri di questo nome) e con alcuni altri gentiluomini che quivi allora si trovavano, ci aviammo verso quel luogo chiamato San Crescenzio, che dirimpetto a Melazzo, oltre l’Ere, sopra un colle, il quale non dalla natura, ma dall’arte maestrevolmente pare d’intorno intagliato, è posto. Cosi piacevolmente, non senza qualche dolce ed onesto motto, latta quella salita, rimanendo ognuno di noi stupido d’una cosí dilettevole vista, di dove si scuoprono molte castella, molte ville, molti monti, molte valli e molte pianure e molti fiumi, senza alcuno impedimento contrario, dopo preso alquanto di grato riposo, data l’acqua alle mani, a mensa sedemmo. E, s’egli non fosse che la splendidezza di questa bene unita e magnanima coppia è oggimai chiarissima in molti luoghi, direi che non altrimenti in Apolline soleva cenare Cuculio di quello che noi ivi desinammo, né al corpo si diede niuna ricreazione che all’animo medesimamente non si porgesse, colle parole, qualche cibo soave. Cosi, dato fine a quello e levate le tavole, disse la signora Leonora: — Tempo ora non è d’altro essercizio che di alcuno trastullo dell’animo, e qui, fino di gran