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che non si lasciava ora, che bene compartita non fusse in que’ piú dilettevoli, utili ed onesti essercizi che si possono imagi nare; bene e spesso per quelle colline tra que’ vepri e tra que’ cespugli facendo levare e fuggire le paurose lepri, e con velocissimi e sagacissimi cani, dopo lungo corso, riportandone preda. Talora lungo quella dilettosa valle, dove il fiume Ere e la Bormia al contrario l’una dell’altra correno: percioché il primo, bagnando tutta quella valle, non si ferma sino a tanto che nel mare di Liguria non mette capo; l’altra, congiungendosi col Tanaro e poi col Po, al mar d’Adria rende il suo tributo. Né questo credo che ad altro fine la providenzia divina e la natura abbia operato che, fino per la voce di questi fiumi, per piú parti che per una sola del mondo siano diffusi e sparsi gli onori della magnanima Leonora; a cui non l’ago, non la tela né il fuso, propri essercizi delle donne, fu arte né industria, ma la vera cognizione delle scienzie fu desiderio, la vaghezza della poesia compagna, la istoria maestra della vita, le muse nodrici, Apollo guida, e Parnaso ricetto. E, lá dove l’altre per lo piú tra l’avarizia, tra l’ozio e tra le cose quiete sogliono essere allevate, ella tra la cortesia, tra gli studi e tra le cose celesti sta sempre involta. Ma, tornando lá dove mi sono partito, dico che talora per quelli fiumi il nostro tempo era speso in turbare il grato riposo a’ pesci. Spesso ancora, quando per questo giardino e quando per quello, a divisare sopra la virtú delle erbe e de’ semplici l’ore erano dispensate. Oltre questo, a’ sciocchi augelli tendendo molte volte insidie, i lunghi giorni si facevano brevi. Ma pochi erano quei di che, per fuggir l’ozio, nemico degli animi nobili e virtuosi, e l’estremo del caldo a’corpi sani contrario, con uno o con un altro libro non istessimo all’ombra d’alcuno dilettoso albero tra que’ fioriti prati, leggendo i detti e le sentenzio de’ piú saggi e cercando, al meglio che puote umano intelletto, apprendere il vero delle cose terrene e conoscere l’incompren sibile delle celesti; il che di qualche utile e grato ragionamento spesse fiate ci era cagione. E di qui avvenne, accioché cosí grato principio si tosto non avesse a mancare, ch’io mi facessi poi per molti mesi patria Savona. Quivi adunque essend’io