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grosso della man dritta l’orecchio medesimo, vuol dir «stasera»; con l’indice, «a tre ore»; con l’altro, «a sette».

Coppina. Sono motti che ciascuno se gli può fingere a modo suo, e sono forte utili, anzi necessari, quando non s’ha altro mezzo; ma dove intraviene persona fidata che a l’uno e l’altro favelli, come faccio io, non sono di necessitá. E, come vedi, la prima volta ch’egli ci venne, io sodisfeci senza cenni col dirgli : — A tante ore. —

Maddalena. Pur si lasciò quel velo al balcone per segno.

Coppina. Era altro quello.

Maddalena. I cenni hanno però giovato parecchie volte che voi non gli potevate favellare. Vi soviene la seconda volta?

Coppina. È ben vero.

Maddalena. Coppina mia, di quanti miei diletti séte stata cagione !

Coppina. Quella maledetta fenestra fece uno strepito dell’altro mondo: ugni da qui inanzi i gangheri.

Maddalena. Trattenete oggi la signora e datemene agio, ch’io ungerò ancora quelli dell’uscio.

Coppina. Tiengli sotto un cencio, ché l’olio non coli giú pel muro, e, se alcun gocciolo ne cade, forbilo ben bene, che alcuno non se n’accorgesse.

Maddalena. Ungerò medesimamente la carrucola de l’uscio, per non avere ogni volta a levarne il contrappeso.

Coppina. Lievane pur il contrappeso, ché tu non potresti tanto ugnere ch’egli non si sentisse. Sopra tutto sovengati del chiavistello, e di aviluppare dintorno alla campanella uno cintolo o altro, ch’ella non si senta battere contro la serratura.

Maddalena. L’ ho in cervello. Che faremo alla lettiera, che fa romore, che gli è una vergogna?

Coppina. La faremo gettare in fascio col dare la colpa ai cimici, e ungeremo e caviglie e commessure e tutto.

Maddalena. È buon proposito.

Coppina. Ti so dire che pel verno, nel quale mi bisogna stare in piedi per la camera tre o quattro ore e talvolta piú, io mi voglio fare un paio di feltrelli.