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24 trattati d'amore del cinquecento


Raverta. L’amante sempre presume che vi sia quello di che ricerca esser fatto partecipe, ancora che non vi fosse. Perché giá s’ha formato nella mente quella idea perfetta. E però abbiamo diffinito Amore in generale essere desiderio di partecipare o d’esser fatti partecipi della cosa conosciuta o stimata bella, e però giustamente quella voce «stimata» si deve applicare a noi.

Baffa. In questo modo l’amante sarebbe sempre imperfetto, e l’amato sempre perfettissimo.

Raverta. In che modo?

Baffa. Se l’amante desidera di godere della bellezza dell’amato per farsi perfetto, l’amante conviene essere con mancamento, e lo amato perfetto.

Raverta. Non dite che sia, perché può essere e non può; ma sempre l’amante presuppone la cosa amata perfettissima, benché non sia.

Baffa. È il medesimo.

Raverta. Ma dirovvi: le piú volte, e sempre quando l’amore è corrispondente, perché cosí convien che sia per essere perfetto, ogniuno dei due, dal suo lato, sono amanti e dall’altro amati; tanto che vengono ad essere amanti ed amati. Perché, se io sono amante, per altro non sono eccetto ch’io reputo lo amato perfetto; onde, congiungendomi seco, desidero esser fatto partecipe di quel buono e di quel bello che io stimo e giudico che sia in lui; ed allora io sono amante dal mio lato ed egli lo amato. Dal suo lato medesimamente egli, ch’è mio corrispondente, è di me amante ed io vengo ad esser lo amato. Onde, pascendo gli occhi, l’orecchie e la mente di quel buono e di quel bello che, se bene non è in me, giudica egli che sia, mi tiene per perfetto; ed è allora amante ed io l’amato, sí come, dal mio lato, egli è amato ed io amante.

Baffa. Ora io v’intendo. Ma ditemi: può essere solo uno amante in amore senza che sia amato?

Raverta. Facilmente, perché quella cognizion di bellezza che mi si rappresenta in altri la reputo in me imperfetta, onde subito mi nasce quello affetto volontario che nell’amata