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22 | trattati d'amore del cinquecento |
e far Italia in buona parte lieta,
non è a lo stuol dei vostri pari ascritto?
Voi patria e sangue avete, onde si mostri
dai piú lodati inchiostri,
che séte per entrambi a pruova chiaro.
Del vostro ingegno e del bel vostro volto
giá fu l’essempio tolto
dal cielo, a voi non giá, ma a molti avaro.
Perché si può di voi dir con effetto,
che dentro e fuori il bello ha in voi ricetto.
Del vostro ingegno angelico e celeste,
de la bell’alma e del pensiero ardente
di purissimo foco ed immortale
fa chiarissima fede ad ogni gente
la bellezza che in don dal cielo aveste,
non, come in molti, in voi poca e mortale,
ma immensa e fatale.
Questa, negli occhi e in tutto il viso vostro
fatto avendosi seggio eterno e solo,
tempra ogni affanno e duolo
che potesse ingombrar l’animo vostro,
e voi rende sí caro a tutto il mondo,
ch’altro piú bel non ha né piú giocondo.
Canzon lieta e gioiosa,
non men ch’ardita e temeraria in vista,
poiché ti vedi in abito mendico,
meco ti resta, dico;
ché troppo ardir poca mercede acquista.
E, s’al nostro signor tu pure arrivi,
di’ che di sua beltá né d’altro vivi.
Raverta. Bellissima è stata veramente e degna d’esser lodata da ogni gentilissimo spirito, se non per altro, almeno per cosí degno ed onorato subietto, a cui furono scarse le lode.
Baffa. Purché le bellezze del signor Vicino non ci abbiano fatto scordare l’amor nostro o, per meglio dire, il modo che mi mostravate d’amare.
Raverta. Non sará giá; ché ben mi ricordo di che dianzi, ripigliando il mio parlare, diceva egli.