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di tempo overo di durazione, non avendo mai avuto principio né dovendo aver mai fine; e cosí si chiama Dio «infinito» ancora da’ peripatetici. Ma essi non vogliono che Dio sia infinito di perfezzione e di virtú e, come noi diremmo, di valore: percioché, oltra molte altre ragioni, egli moverebbe il cielo non in ventiquattro ore, ma senza tempo, cioè in un istante ed in un subito; perché in una virtú e perfezzione infinita sarebbe anche una potenza infinita. Ma, come questo è vero appresso loro, cosí è falso appresso la veritá, come testimoniano non solo tutti i teologi, ma ancora molti filosofi.

Tullia. Io resto capacissima di ogni cosa; e mi sono accesa di un desiderio si grande, che, se io fossi a tempo, vorrei ad ogni modo apparar loica e non attendere mai ad altro.

Varchi. Voi fareste una faccenda! Chi non sa altro che loica non sa cosa niuna.

Tullia. Togii questa altra! Mi pare oggi rinascere. Non ho io sentito dire da voi che senza loica non si può sapere cosa niuna veramente, perché ella insegna conoscere il vero dal falso ed il buono dal reo in tutte le cose?

Varchi. Si, avete, e cosí è verissimo: e chi non ha loica e dice di saper cosa niuna dice quello che non è e che non può essere.

Tullia. Come sciogliete adunque questa contrarietá?

Varchi. Ditemi; basterebbevi l’animo, non avendo squadra o regolo alcuno, conoscer quali cose fossero diritte e quali no?

Tullia. Non giá a me.

Varchi. E, se aveste piú squadre e piú archipenzoli che non furono mai e non gli adoperaste mai, darebbevi il cuore di conoscer qual muro fosse dritto e qual torto?

Tullia. Messer no; ma resterebbe da me.

Varchi. Egli resterebbe anche da voi, se aveste piú loica che non fu mai della fatta, e non voleste attendere alle scienze, e servirvene a quello per che fu trovata. Ma lasciamo andar questo, e massimamente restandoci ancora che dire intorno al dubbio propostomi da voi.

Tullia. A me pare di esser chiara a bastanza, senza che me ne diciate altro.