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i - il raverta 11


buona, e questo sarebbe l’animo dell’amata. E però, l’uomo essendo umano nè potendo congiungere perfettamente l’animo suo con quello dell’amato, da questa impossibilitá nascono i sospiri, le lagrime e ’l languir degli amanti; ed avendo ad essere lecito, deve contenere in sè onestá; e quello dell’uomo verso la donna e cosí anco della donna verso l’uomo medesimamente può esser buono e cattivo, e questo è diffinito: «desiderio di fruir la bellezza.» A conoscere quando sia lecito o illecito, è necessario sapere qual sia la vera bellezza, perché, di quella maniera che la bellezza è amata, tale è lo amore.

Baffa. Dichiaratemi che cosa sia «bellezza» e quale sia la perfetta, acciò, avendone cognizione, io sappia perfettamente amare.

Raverta. La bellezza è un dono dato da Dio, ed uno splendor del sommo bene; cioè una certa grazia, la quale, per la ragion conoscitiva che ne ha la mente o per la persuasione che ne prendono i due sensi spirituali, l’occhio e l’orecchia, diletta e trae a sè l’anima.

Baffa. Di quante sorti vi è bellezza?

Raverta. Vogliono che sia di tre.

Baffa. E quali sono?

Raverta. La bellezza degli animi, che con la mente si conosce; quella dei corpi, ch’è proporzione de’ lineamenti e con gli occhi si comprende, la quale, per esser vana ed ombra piú tosto di bellezza, poco o nulla da me sará ricordata...

Baffa. Anzi vi prego a dirmene alcuna cosa, ed arei caro che, per esser la men buona e la piú dal vulgo apprezzata, che fosse la prima.

Raverta. Non mi date questa impresa, perché male vi saprei dimostrare che si convenga a formare un bel corpo. Altri di questa ne hanno scritto abastanza: leggete i ritratti del Dressino [Trissino], che vedrete quali proporzioni vi si richiedono. Chè io non voglio starvi a diffinire la cagione perché quegli uomini, e cosí donne, di picciola statura, quantunque siano ben formati, si chiamino piú tosto «formosi» che «belli»; e in che consista la corporale bellezza, essendo questo ufficio di pittore. Io vi dirò solo di quante sorti vi sia bellezza.