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che la occasione è venuta ed un partito conveniente se le è offerto; onde, il tutto comunicato allo amante, egli, senza veruna resistenza (che veramente, se l’amava, doveva repugnarvi), ha consentito che a lui si sia tolta ed in matrimonio data ad altri ; e cosí se ne è privato.

Domenichi. Che dubbio vi nasce?

Baffa. Aspettate che ora ve lo dirò. Fatto questo, ha incominciato poi a dolersi col cortese messer Gabriel, dicendo che, se tutte quelle fiate che seco comunicava questo suo pensiero non lo avesse confortato a far ciò, che egli mai avrebbe consentito, e cosí che ora non ne sarebbe privo. Ond’egli, rispondendogli, gli ha detto che pensava che poco si curasse di quella tal donna, e che credeva che poco la amasse, come crederebbe ogniuno, e che, essendo amante, nessuno meglio di lui poteva sapere l’intrinseco del suo cuore, e che non si deve doler d’altri che di se stesso.

Raverta. Cosi pare a me.

Baffa. Il dubbio, che messer Gabriel mi dimandò e che io propongo a voi, è questo: se egli amava questa donna o no.

Domenichi. Io giudico che poco la amasse, e che la maggior parte sará di questa opinione; e, se l’ora non fusse cosí tarda, con fortissime ragioni ed argomenti or ora ve lo dimostrerei, e mi offero sostentar questa parte. Perché chi sará quello, che abbia un ricco e bel gioiello che gli sia caro, che ne faccia altri possessore? E poi d’una donna che si ami!

Raverta. Non passiamo piú oltre, perché io son di contraria opinione, e giudico che la amasse di perfetto amore, avendo caro piú il ben dell’amata e l’onore che il proprio diletto.

Baffa. Cosi mi piace, che siate di contrario parere, ché io, avutone le ragioni da amendue, ne potrò poi render certo il buon Giolito, il quale allora si parti senza risoluzione, per esservi sovragiunte altre persone che turbarono questo discorso.

Domenichi. Cosi si fará. Ma dateci oggimai licenza, signora Francesca.

Baffa. Andate felici. Ma non vi si scordi la mia promessa.

Domenichi. Cosi si fará.