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l’estremitá dell’ardor suo, offerendosi non tanto ubidiente e fedel servitore, ma di morire anco per lei qualunque volta le fosse stato in piacere, e che questo all’esperienza avrebbe conosciuto; insieme con molte altre parole usate a dirsi in casi simili. Onde ella subito gettò l’uno de’ suoi guanti in mezzo di quei leoni, e, volgendosi a lui, disse: — Se tu m’ami quanto suonano le tue parole e per me sei disposto a fare ogni cosa, va’, piglia il mio guanto ed a me lo riporta. — Il cavaliere, piú animoso che considerato, disponendosi compiacerla o morire, corse fra i leoni e riportonne il guanto alla sua donna crudele, senza esser punto offeso. ...
Raverta. Eccovi come il desio di piacere alla cosa amata lo incitò a fare cosí degna ed ardita impresa; ché, per acquistare onor solo, ciò non avrebbe fatto.
Domenichi. Certo, che la sua si puote chiamar pazzia, comeché bene gliene seguisse.
Baffa. Udite il rimanente. Ritornato a lei, le diede una guanciata, la maggior che potesse, dicendole appresso: — Impara, dama discortese, a non comandare a cavaliere nell’avenire cosa che agevole ed onesta non sia; — ...
Domenichi. Sian benedette quelle mani!
Baffa. ... e da lei, senza amarla piú, se ne parti.
Domenichi. Fe’ ufficio di gentiluomo.
Baffa. Uditemi ora. Circa questo caso nascono tre dubbi, dei quali voi mi direte il parer vostro. Il primo: qual maggior discortesia fosse, quella donna a comandargli si villana impresa ed onde si mosse, o quella del cavaliere amante a darle la guanciata? L’altro: vorrei sapere per qual cagione i leoni si rimasero d’offendere lo spagnuolo. Il terzo: avendola lasciata d’amare, se gl’increbbe, (conciosiaché non può essere che molto, prima, egli non l’adorasse), e se perciò doveva odiarla. Diretemi appresso: quale sia piú possente passione, amore o odio?
Domenichi. Alla prima io risponderò senza pensarvi. Veramente non è da paragonare l’una discortesia con l’altra, perché quella dell’uomo fu piú tosto opra pia e lodevole, a correzzione dell’altre donne ignoranti e senza intelletto.