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al suo amante. Perché io dirò, come giá disse il nostro gentile e virtuoso messer Giorgio Belmosto genovese, essendo grandemente innamorato d’una bella e graziosa donna: — Se costei mi si mostrasse sempre benigna ed io con poca fatica m’acquistassi la grazia e l’amor suo, poco l’apprezzarei ancora, perché d’ogni cosa, che facilmente si guadagna, poco conto si tiene, e quelle, che con piú fatica s’acquistano, piú sono amate. E piú amano le ricchezze coloro che col proprio sudor l’hanno acquistate che quei che le hanno ricevute da altri. Però piú amano le madri i figliuoli, imperoché il generargli ò di maggior fatica, onde sanno che son suoi. Ma piacemi che la donna nel principio, quando incomincia a conoscere uno che la serva d’amore, stia alquanto sopra di sé, né cosí leggermente si muova; anzi, benché l’ami, non mostri curarlo.
Domenichi. Per Dio, che buono ufficio fate, ché, quando devreste in tutto rimovere le donne dai loro crudelissimi costumi, allora piú le indurate! Purtroppo poco n’apprezzano e ne curano queste tigri, senza che voi ai danni nostri le consigliate.
Raverta. So ben io che fo male; ma, volendo dire il vero, mi convien pur cosí dire.
Baffa. Io dubito gravemente non questo sia doppio inganno, e, con questo volere che la donna si mostri alquanto piú tosto ritrosa che arrendevole, vogliate fare che alcuno non perseveri in amarci. Perché, se ciò facesse, non potrebbe egli levarsene agevolmente?
Raverta. Non, signora, se averá da essere vero amore. Perché l’amante sempre spera, onde è buono ch’ella cosí facilmente non si pieghi. Perché veramente voi donne piú facilmente d’amore v’accendete. Ma, in proposito, vi ritorno a dire che non facciate si larga copia di voi stesse agli amanti, si ch’eglino con poca fatica abbiano a godere del vostro amore. Non vi mostrate poi neanco tanto crudeli quando conoscete la servitú loro, ché da sdegno siano sforzati di levarsi da l’impresa. Ma, tenendo la via di mezzo, sempre secura, né in tutto benigne né in ogni parte crudeli vi devete mostrare, o donne,