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in un lago d’intorno a una isoletta; al qual loco medesimamente il re pose tanto amore, ch’indi non sapevasi quasi mai partire. Tutte le sue delizie ed ogni sua gioia era d’abitare ivi, dove fece palagi, chiese ed abitazioni ricche e superbe fabricare, e quasi sempre vi dimorava. E, mentre visse, amò quel lago e quel loco quanto dire e amar si possa. E, venendo a morte, lasciò che ’n quella isola ogni suo successore avesse da pigliare la corona regale, e cosí fino al di d’oggi s’osserva. Questo voglio dire, con questa mia istoria o novella, pigliatela come volete, che, a voler farsi amare, come mi disse il Sala, bisognerebbe avere una pietra a cui fosse concessa simil grazia, perché giudico ciò non essere in nostra possanza, ma dono dato da’ cieli.
Baffa. Orsú, io v’ho inteso: voi volete dire che non basta esser bella, gentile e virtuosa ed aver tutte quelle qualitá ch’a donna rara si convengono, ché bisogna aver grazia d’esser amabile. Ma qui nascerebbe un dubbio, ed avrei caro che me lo risolveste: se questa pietra era appropriata di fare amare quella persona, che l’aveva seco, da altri che dal re.
Raverta. Questo non è dubbio, perché s’ha veduto che solo il re amava chi l’aveva.
Baffa. Dunque poco importa l’essere amata da un solo.
Raverta. Che vi pare? lo mi terrei felicissimo s’io fossi amato da una persona sola. E poi forse quella virtú, che le fu data, fu cosí domandata.
Baffa. Sia come si voglia, o vera o falsa che sia stata questa cosa, non voglio cercarne altro. Basta che, sotto velame di questa, ho compreso la risoluzione della mia domanda. Ma, come meglio si sa reggere in amore, non s’ha sempre miglior mezzo di farsi amare?
Raverta. Ogni cosa buona giova.
Baffa. Sará dunque buono che senz’alcuna passione, non togliendo il suo dritto al vero, mi diciate: s’egli è meglio mostrarsi pia o crudele all’amante.
Raverta. In poche parole ne dirò il mio parere. Non lodo la donna che sia in tutto pietosa né sempre si dimostri benigna