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Tu, s’egli è ver che ’l mio terreno amasti, si come or veggio manifesto e chiaro, fatto d’altri pensier maturi e casti a l’infermo tuo cor saldo riparo, odia e disdegna quel che giá prezzasti, quel ben ch’avesti oltra misura caro; e, d’altro ardor, ma divino, infiammato, il mio riposo dolce ti sia grato.

7

E, perch’ora ti sia molto lontana, si come un tempo fosti a me vicino, t’ama ancora però la tua Adriana, tutta accesa d’amor casto e divino.

Disacerba ogni doglia acerba e strana,, caro a me piú che mai, gentil Vicino; e di qui, dove a te si serba loco, non ti partir col cor, molto né poco. —

8

Cosi l’alma gentile e benedetta, ch’ebbe in sé il fior d’ogni bellezze avolto, odo io ch’ai ciel col suo parlar v’alletta; né d’altro par che giá le caglia molto, quanto spiace a la candida angioletta de l’empio duol, nel qual voi séte involto, e vedervi contrario al grande Iddio, dal cui voler non si scompagna uom pio.

9

Ma che giovan, signor, pianti e sospiri, che prò ritorna a voi del tragger guai, poiché le leggi degli eterni giri per mortai preghi non si torcon mai?

Se la pietá dei vostri alti martiri e ’l consumarvi in dolorosi lai quel, c’ha Morte di voi, dar vi potesse, direi che pianger sempre si dovesse.