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giovane per costumarla a suo modo. Né manco voglio che ragioniamo se la donna deve incominciare a partorire dai venti fino ai quaranta, e l’uomo a generare dai trenta fino ai cinquantacinque: questo lascieremo provare ad altri. Ma ora si ragiona brevemente, discorrendo dell’etá che piú sia propria al vero amore, senza però molte divisioni.

Baffa. V’intendo ben io. La conclusione sta che voi dannate piú l’etá alquanto matura che la giovenile. Ma, se foste meno possenti di quel che séte, dubito ch’afTermareste l’opposito. Perché, soviemmi aver letto, credo sia nel terzo libro del Cortigiano , l’amante dovere essere piú tosto alquanto ben fatto che non a sofficienza maturo, e voi mi divisate altrimenti.

Raverta. Anzi no: ché pur v’ho detto, ch’a pigliare una cosa acerba, oltra che non è saporita, piú tosto nuoce che giova; ma dico bene che bisogna cogliere il frutto secondo sua stagione. E che sia il vero che l’etá acerba e quella piú matura sia da lasciare, qual frutto di queste tre qualitá è piú saporito, piú durabile e di maggior sostanza: l’acerbo, il maturo o il troppo fatto? Senza dubbio, direte quel di mezzo. Però la mezzana etá è piú da seguire, imperoché tutti gli estremi son viziosi.

Baffa. L’uomo adunque di che etá deve eleggere l’amata?

Raverta. Di minore assai di sé, imperoché piú tosto manca di essere atta ai servigi d’Amore; ed essendo di pari etá, quando l’uomo è sul fiore, allora la donna è fatta matura.

Baffa. Oh, di quante circostanzie ha bisogno questo amore ad essere eguale!

Domenichi. Si, per certo; e però chi meno vi s’invesca meglio ne sta.

Baffa. Pur di quale etá volete che abbia origine e principio?

Raverta. Ditelo voi, ch’assai m’ ho intricato d’intorno quel dell’uomo. Ché dubito non mi facciate tanto dire e ridire, che da me stesso non mi contradica, e faccia come fece l’Ariosto nel suo poema, che in un loco fa essere ucciso uno e molto dapoi lo fa comparire, onde i babuassi lo notano per un ben grande errore.

Domenichi. E dove fa egli questo? Piú tosto credo che questi tali siano quei ch’errino. Ma, di grazia, ditemi dov’è.