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i - il raverta | 5 |
per buono senza contrasto. E però fia meglio o aspettare messer Alessandro, ch’io m’ingegnerò, benché voi siate sofficientissima a repugnare a qualunque dottissimo discorso ed a sostentarne la parte vostra, di non lasciar passare tutte le sue ragioni così senza contrasto; o che indugiamo tanto che alcuno altro nostro amico sovragiunga, il quale m’aiuti a dirvene.
Baffa. Sarà buono incominciare. Ma eccovi quanto la sorte ci si mostra favorevole. Vedete come più a tempo non poteva venire il nostro messer Lodovico; onde egli, benché non abbiate bisogno d’aiuto, potrà, dandovi agio di riposare talora, dirne la parte sua, confermando ed impugnando le vostre ragioni.
Domenichi. Che nuova allegrezza è questa della mia venuta?
Baffa. Sedete, ché lo saprete tosto.
Domenichi. Eccomivi obedientissimo, senza molto farmi pregare, ché, per mia fé, son lasso.
Baffa. Onde venite, che cosi séte affannato? Domenichi. Vengo da casa l’Aretino; nella quale concorre,
a rallegrarsi seco delle smisurate carezze che gli ha fatto l’imperadore, tutta la città.
Baffa. Ho inteso che Sua Maestà, oltra i doni, l’ha fatto cavalcar seco a man ritta di molte miglia, raccomandandolo alla signoria di Vinegia come la sua propria persona.
Domenichi. Così è.
Baffa. Che dicono i pedagoghi?
Domenichi. Confessano che non ne sarà mai più un altro.
Baffa. E non è ciancia. Ma, come che io vi veggia sempre volentieri, ora gratissimo m’è stato il giunger vostro; perché, avendomi ora il signor Ottaviano da raguagliarmi d’alcune cose, desiderava che alcuno suo amico sovragiungesse, non già per aiutarlo, ma per contender seco, accioché meglio mi rendesse instrutta di quanto egli è per dirmi.
Raverta. Non le credete così ogni cosa, perché io vo cercando persona che m’aiti; né miglior né più fedel compagno mi si poteva offerir di voi.