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si fanno in amore aveduti, cosí non se ne tiene conto. E, si come questi son meno, se ne fa numero per essere rarissimi, e però notasi quasi per miracolo. Si che vedete che son meno, ed essendo meno, questa è sua maggior potenza. E che sia vero, poiché quasi sempre volete fondarvi sopra gli essempi, i miracoli dipinti sopra le tavolette nelle chiese, non per altro s’appendono che per cose rare, conciosiaché rendono testimonio di coloro eh’essendo nei pericoli sono riusciti salvi, e perciò si notano per miracoli. Ma non è però dubbio che molti piú non siano quelli che vivono prosperamente, non però se ne fa memoria. Ditemi: è miracolo se di vivo l’uomo divien morto?

Baffa. Non è miracolo.

Raverta. Sarebbe poi miracolo se un morto ritornasse in vita?

Baffa. Certo che si.

Raverta. Adunque, perché si trova che Iddio n’ha suscitato alcuno, se ne fa memoria e si nota per essempio; il che non si fa di questo e di quel vivente che se ne muore. Cosi, perché piú rari sono quelli ch’amando divengono pazzi, se ne fa maggior numero, che di tutto il rimanente ch’amando veramente si fa savio, è da giudicare e tener per fermo che sia maggiore la potenza d’Amore quando fa impazzire altrui. Si come, se agli essempi vorremo risguardare, per quei si potrá vedere che fa i pazzi savi, conciosiaché le piú volte, e quasi sempre, Amore rende gli amanti savi ed aveduti.

Baffa. A tutte le vie, fin dalle mie proprie ragioni, mi veggo vinta. Mah! Bisogna cedervi.

Raverta. Da voi stessa vi date il torto.

Baffa. Sia con Dio. Ma voi, signor Lodovico, so che non v’arrischiareste mai a tór le mie difese ! Ma vi passate cosí leggiermente, di maniera che quasi pare che non ci siate, o pure ch’abbiate caro di vedermi in ogni conto rimaner perdente. Dite ancor voi alcuna cosa.

Domenichi. Che volete ch’io dica? Domandatemi, ch’io vi risponderò volentieri. Io taccio perché non m’abbiate da dir piú, come non è molto che diceste, «impaziente».