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sopra lui venne la medesima pena, ch’ad altri contra ogni debito fé’ patire.
Domenichi. Anco costei allo ’ncontro dovea poco amar lui, imperoché gli ne rese mal merito; conciosiaché dovea gloriarsi d’avere amante tale, che sopportava di lasciare morire ogni altra per non mancarle di fede.
Baffa. Anzi fe’ bene, perché conobbe la crudeltá e la viltá dell’animo suo.
Domenichi. Che dovea dunque fare? Lasciare lei ed amar costei ?
Baffa. Questo non dico io, ma confortarla si bene e moderatamente, da valoroso amante, levarla pian piano da tal pensiero. E, se ben il suo cuore era inclinato altrove, consolarla con dolci ed amorevoli parole, si come fece il re Pietro d’Aragona verso la Lisa inferma.
R a verta. Séte anco chiara che si possa morire per troppo amore ?
Baffa. Si, sono.
Raverta. Potrei anco addurvi altri casi occorsi, e tra gli altri quel della moglie di messer Tomaso da Pisa, scritto dal Castiglione. E medesimamente uno essempio che Ebano riferisce in Atene d’un giovane, che tanto amò la statua della Fortuna, che, vietatogli di poterla comprare, la notte vicino a lei fu ritrovato morto.
Baffa. Non ne voglio altri; anzi mi pare che piú di tempo si sia consumato intorno a questa sola quistione che a tutte l’altre giá dette. Ma gli essempi sono stati quelli che n’han tenuto in lungo. Ed accioché entriamo in altro, poiché siamo posti a ragionare della potenza di Amore, avrei caro sapere quale sia maggior effetto: se fa l’uomo di pazzo savio, o di savio pazzo.
Raverta. Non so che mi vi dire, perché tutte le cose appresso di lui sono possibili, ed opra l’uno e l’altro effetto.
Baffa. E però ditemi qual sia maggiore.
Raverta. Non mi dá l’animo di dirvi quale sia; ma ben vi potrò dire quale mi paia maggiore e qual minore. Che Amore faccia il pazzo savio ed il savio pazzo, è notissimo. La