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taggiarsi molto dalla realizzazione scenica, e che perizia grande si svela nel modo come sono sfruttati alcuni elementi convenzionali e ineliminabili del dramma satiresco.

Assai felice è, per esempio, la danza, che, svolta, secondo abbiam visto, sul tema d’una ricerca, appare necessaria, e giustamente s’inquadra nell’azione. Le ripetute fughe e riprese dei satirelli danno legittima occasione ad una serie di evoluzioni di bell’effetto fra palcoscenico ed orchestra. E assai poetica è l’uscita della lira, della prima lira che abbia molcito l’orecchio umano. E vi troviamo lo strumento usato entro l’azione drammatica in funzione speciale: come, per esempio, nel Flauto magico di Mozart.

Del resto, se gli Ichneutái non intrecciano nuove frondi alla gloriosa ghirlanda di Sofocle, ci servono, come già dissi, a determinare meglio certi generici, e, parrebbe, obbligator i caratteri del dramma satiresco.

Noi sappiamo infatti che sull’antico teatro d’Atene si rappresentavano anche commedie mitiche, nelle quali apparivano dunque numi ed eroi, e talvolta anche satiri. Ora, quali rapporti intercedevano fra queste commedie mitiche e i drammi satireschi? In che somigliavano, in che differivano?

Anche in tanta scarsezza di materiale, possiamo fissare due punti principali, uno di divergenza, l’altro di convergenza.

Nelle commedie mitiche, eroi e numi scendevano a livello degli altri personaggi, ed usavano un linguaggio non meno scurrile: basti ricordare l’Ermete della Pace o l’Èrcole degli Uccelli o delle Rane d’Aristofane. Invece, nel Ciclope d’Euripide, Ulisse adopera sempre il linguaggio che si conviene ad un eroe; e non indulge, neppure parlando col Ciclope, a veruna di quelle buffonate tanto care all’Ulisse della omonima commedia di Cratino. Analogamente, nel nuovo drammetto di Sofocle, i personaggi dignitosi, Apollo e la Ninfa Cillene, non scendono mai a volgarità, bensí parlano ed ope-