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I SATIRI ALLA CACCIA 215

critica a proposito d’un drammetto tornato a luce dopo un sonno di venti secoli. Tuttavia, non possiamo nasconderci che anche questo, come, del resto, quasi tutti i nuovi doni del Nilo, ci lascia un po’ delusi. E, a giudicare almeno da questo saggio, il Sofocle satirografo rimaneva infinitamente inferiore al Sofocle trageda. La comicità delle parti dialogate, salvo, un po’, il discorsetto di Sileno, è povera e convenzionale. Alle parti liriche, si vede bene anche dai miseri frammenti, mancano slancio e calore: tanto che i tre versi immaginosi e poetici, in cui i satirelli descrivono l’effetto fantasmagorico della musica, in mezzo al terra terra di tutto il resto, sembrano quasi una stonatura. E poco felice è anche il motivo che potremmo dire predominante, la paura dei satiri pel suono della lira. I satiri, erano, sí, vigliacconi, e la loro paura era oggetto perpetuo di risa per gli spettatori. Ma fingerli sgomenti, essi fanatici della danza e d’ogni specie di musica, per un nuovo timbro armonico, e gracile e soave come quello della cétera, è inverisimiglianza che confina con la puerilità. Ridere non fa certo, come fa invece ridere, per esempio, la paura dei loro fratelli del Ciclope d’Euripide, quando, dopo tante smargiassate, dovrebbero sul serio piantare il palo nell’occhio al monocolo pastore etnese. E, poiché si presenta il confronto con Euripide, dobbiamo pur osservare che di fronte al Ciclope, cosí umoristico e indiavolato nelle parti drammatiche, cosí pittoresco e musicale nelle liriche, scàpitano per ogni verso questi Satiri alla caccia, cosí grigi e cosí lenti, e, innanzi tutto, cosí privi dello spirito dionisiaco, che pervade invece tutto il brioso lavoro d’Euripide. E forse nel dramma satiresco trovava migliore esplicazione la speciale piega ironica dello spirito di Euripide, che anche nel dramma tragico vedeva e segnava con manifesto compiacimento i lati meno eroici o addirittura comici dei miti e degli eroi.

Aggiungiamo però subito che il drammetto dove’ avvan-