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I SATIRI ALLA CACCIA | 203 |
- Perché sguisci, lo so: non per paura
- che si sparli di te1; ma s’avvicina
- Ettore: e rimanere non è comodo.
Achille non stava zitto, e gli rimproverava la sua discendenza dal furbo Sisifo:
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- Come si vede in tutto, o scellerato,
- che di tua madre Sisifo era padre.
Ulisse gli combinava una risposta ben piú maligna. Achille era giovanissimo, e, pare, azzimato e profumato: e lo chiamavano abitualmente il figlio di Tetide. Ulisse giustificava ironicamente questo uso:
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- Uno che pare un ragazzetto, e il mento
- ha cosí profumato, ed è figliuolo
- d’una tal madre, o come non chiamarlo
- dal nome di mammà?2.
A Sofocle apparteneva anche un Salmoneo. Salmoneo era quello sbruffone, famoso presso gli antichi, che voleva tener testa a Giove. Trascinava legati al carro, dice Apollodoro, otri di cuoio indurito e gran bacili di bronzo rumoreggianti; e questi erano i suoi tuoni. Lanciava contro il cielo fiaccole accese; e queste erano le folgori. Giove, seccato, gli azzeccò una saetta sul serio, e la fece finita.
- ↑ Per l’offesa che gli aveva latto Agamennone non invitandolo. Intendo cosí; ma non è l’unica interpretazione possibile.
- ↑ Pongo al fine dei versi un punto interrogativo. Espungo le ultime due parole, che mi sembrano un’aggiunta sforzata. Lasciandole, il contesto s’impesantisce, ma non diviene però sconnesso: pur essendo lecito chiamarlo col nome del padre (come s’usava abitualmente).