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I SATIRI DELLA CACCIA 195

queste li fanno derivare, e, pel tramite loro, da mostruosi numi di religioni orientali. Altri li credono riflessi di popolazioni realmente esistite, che, per taluni caratteri etnici o del costume, sembrassero bizzarre e non umane. Ad ogni modo, il popolo greco sognò con essi l’eterno sogno delle genti oramai costrette fra mura e fra convenzioni sociali. E in quasi tutte le figurazioni satiresche, anche nelle meno sottili ed accurate, aleggia fresco il sentimento d’una vita libera gioconda, fra monti, acque e foreste.

Per questo, dunque, i satiri erano già come predisposti alla vita dionisiaca. Sicché, quando il Nume irruppe dalla Tracia nativa, e invase la Grecia, come un uragano vittorioso, lo seguirono entusiasti. Si gittarono anch’essi su le spalle un vello di daino, cinsero corone d’ellera, impugnarono il tirso, e divennero i piú fidi compagni del Nume: tanto che non si potè piú concepire Diòniso senza i satiri. Prendevano parte a tutti i riti; ma di due erano specialmente entusiasti: fabbricare vino e braccheggiare ninfe. La popolarità del corteggio bacchico fu immensa; e ne sono indice le innumerevoli figurazioni, specialmente ceramiche, giunte sino ai nostri tempi.

In certe epoche dell’anno si celebravano feste solenni in onore di Diòniso. Un sacerdote del Nume si travestiva, assumendo le forme che si attribuivano al Nume stesso, e saliva sur un carro. Altri si mascheravano da satiri, e, parte ascendevano anch’essi il carro, parte vi si aggiogavano e lo tiravano, o lo accompagnavano suonando flauti e lire. Andavano cosí in processione, e li seguiva gran turba di popolo, trascinando un toro destinato al sacrifizio. Una preziosa rappresentazione ceramica del Museo di Bologna ci mostra ancora questa scena con tutti i piú minuti particolari (Fig. I).

Arrivato a un certo punto, verisimilmente a qualche santuario, il carro si fermava, e i satiri, intrecciata una danza