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1123-1151 LE TRACHINIE 177

CORO
Abbrividii, queste sciagure udendo
del signor mio: quale ei, quali sono esse!
ERCOLE
Quanti strazi, e cocenti, ognor soffersero
queste mie braccia, questi omeri, né
solo a parole; ma non mai di Giove
la consorte, non mai l’abominato
Euristèo me ne inflisse uno siffatto,
come or d’Enèo la frodolenta figlia
alle mie spalle questa rete strinse
dall’Erinni intessuta, ond’io mi struggo,
che, agglutinata al fianco mio, mi rode
le carni insino all’osso, e col polmone
si confonde, e le vie tutte ne assorbe,
e tutto il vivo sangue mio bevuto
ha già: distrutto è tutto quanto il corpo,
in questi avvolto vincoli ineffabili.
E non oste schierata, e non terrigeno
stuol di giganti o gagliardia di fiera,
non terra ellèna, non paese barbaro,
non terra alcuna di quante io ne corsi,
dai mostri ne affrancai, tanto mai fece;
ma mia moglie, una donna, e non già d’animo
viril, m’uccise; e senza spada; e sola.
O figlio, e tu mio vero figlio or sii,
né reverenza più t’incuta il nome
di madre. Quella che ti partorì,
con le tue mani dalla casa strappala,
e dàlla in mano a me, ché chiaro io veda
se pel mio strazio più t’affliggi, o quando