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987-1019 LE TRACHINIE 169

si scioglieva, tapina. E s’aggirava
qua e là per la casa; e ovunque il viso
d’un dei famigli suoi vedesse, o misera,
rompeva in pianto, ed imprecava al dèmone
proprio, e alla casa, ornai di figli vuota.
Finito il pianto, d’improvviso, al talamo
d’Èrcole vedo che s’avventa; ed io,
celato il mio furtivo occhio nell’ombra,
la vigilavo. E sopra il letto d’Ercole,
le coltri vidi che stendea. Compiuta
l’opera, sopra vi balzò, salí
nel mezzo del giaciglio; e, prorompendo
in calde fonti di lagrime, disse:
«O letto, o stanza nuziale, addio
per sempre, omai: ché piú non dormirò
fra queste coltri». Cosí detto, sciolse
con man convulsa il peplo ove una fibula
d’oro sporgea sui seni, e nudo parve
il fianco tutto e l’omero sinistro.
Correndo quanto io piú potevo, mossi,
ed al figlio narrai quanto la madre
stava facendo. E in quanto io mossi, e quivi
tornammo, lei di doppio colpo al fianco
vediam trafitta, sotto il cuore e il fegato.
Il figlio vide, e un grido alto levò:
ch’egli, col suo furore, a quello scempio
spinta l’aveva: tardi or lo conobbe:
ché tardi apprese dai famigli, come
senza volere della madre l’opera
fu, pei consigli della fiera17. E il misero
figlio, ululando su la madre, lagrima
non fu che allora non versasse, bacio
che su le labbra a lei non imprimesse: