Ed ei, che nulla pur sapeva, o misero,
disse che sol da te veniva il dono,
ed era tal quale egli l’ebbe. Ed Ercole,
come l'udí, poi che l’orrendo spasimo
gli squarciava i polmoni, l’afferrò
d’un piede al sommo, dove la giuntura
si flette, e l’avventò contro uno scoglio
flagellato dal mare; e il cranio a mezzo
si fende, e sangue fuor ne sprizza, e candido
cervello, misto con le chiome. E il popolo
tutto, alto un grido di dolore alzò,
per l’uno che soffria, per l’altro spento.
E niuno ardia farsi vicino ad Ercole,
ch’or si torceva a terra, ora sorgeva,
ululando, gridando; e rimbombavano
le rocce intorno, e i picchi della Lòcride,
e i promontori degli Eubèi. Poiché
stanco del tanto voltolarsi a terra,
del tanto urlare fu — ché il letto infausto
che divise con te, malediceva,
il parentaggio con Enèo, lo scempio,
ch’egli accettò, della sua vita — alfine
l’occhio stravolto sollevò dal fumo
che l’avvolgea, me fra la turba vide,
che in pianto mi struggevo, e mi guardò,
e mi chiamò: «Vien qui, figlio, e la mia
sciagura non fuggire, anche dovessi
morir con me che muoio. Di qui toglimi,
dove nessun mi veda piú, conducimi.
E se il cuor non ti basta, almeno recami
lungi, prima che puoi, da questa terra,
ch’io qui non muoia». E, come ebbe ciò detto,
noi lo recammo in una nave, mentre
Sofocle - Tragedie, III- 11 |
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