onde unsi il peplo, a caso, ove batteva
del sole un raggio, alla sua vampa ardente
gittato avevo; e, come si scaldava,
ecco, sparia, senza vederne causa,
sul pavimento si sfaceva in polvere,
tale a veder, quale del legno, quando
la sega il fende, le minuzie appaiono.
Cosí giace, ove cadde; e dalla terra
ove giacea, schiume di grumi bollono,
come allorché si versa dalla bacchica
vite, il pingue color dei glauchi grappoli.
Ond’io non so, me sciagurata, in quali
pensieri cader debba: un orribile
atto compiei, lo credo. E perché mai
la moribonda fiera, per qual causa,
benevola con me fu, che l’origine
fui di sua morte? Oh, non è già possibile!
Chi colpito l’avea, volle distruggere,
e nell’inganno m’irretí: lo vedo
or troppo tardi, quando piú non c’è
riparo; io stessa, ov’io mal non m’apponga,
sterminato l’avrò: poiché lo strale
che colpi Nesso, io ben lo so, die’ cruccio
anche a Chirone, ed era un Nume; e ovunque
giunga a ferire, ogni animante strugge.
E se sgorgò dalle sue piaghe questo
tossico d’atro sangue, or come ad Ercole
potrà morte non dare? Oh, ne son certa!
E se quegli morrà, ben fermo è ch’io
con lui muoia ad un passo: intollerabile
cosa, per chi non esser tristo pregia
sopra ogni bene, in trista fama vivere.