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134 SOFOCLE 321-345

DEIANIRA
Come potrei non allegrarmi, e averne
diritto, udendo la felice impresa
del mio consorte? La vittoria sua,
la gioia mia, forza è che insieme vadano.
Pure, deve temer, chi ben consideri,
per l’uom felice, ch’egli un dí non cada:
ché profonda pietà m’invade, amiche,
vedendo questa sventurata errare
su stranïero suol, senza piú casa,
senza piú padre; e un tempo eran di liberi
figliuole, forse, e come schiave or vivono.
Giove della vittoria, oh, non ti vegga
su la mia stirpe mai cosí piombare;
o, se far tu lo vuoi, non sin ch’io vivo:
tanto, costor mirando, io sbigottisco.
Si volge a Iole.
E tu, fra tante giovani, chi sei?
Fanciulla, o sposa già? Di tutto ignara
sembri, e di nobiltà grande, all’aspetto.
Si volge a Lica.
Di chi questa fanciulla, o Lica, è figlia?
A luce, dimmi, chi la die’? Qual padre
la generò? Piú assai che l’altre tutte
a pietà mi commuove essa, perché
solo essa conscia di sua sorte sembra.
LICA
A me lo chiedi? Io che ne so? Di qualche
stirpe di là, sarà, né pur dell’ultime.