Pagina:Tragedie di Sofocle (Romagnoli) III.djvu/135

132 SOFOCLE 266-290

LICA
A sé, quando Ercole Éurito espugnò
l’ebbe, ed ai Numi aggiudicate in premio.
DEIANIRA
Presso questa città, dunque, sí lungo
lasso restò di giorni, incalcolabile?
LICA
No, ma restò, com’ei dice, fra i Lidii
il piú del tempo; e schiavo, e non già libero;
né di tali parole, o donna, devi
farne rancura: fu voler di Giove.
Alla barbara Onfàle ei fu venduto,
com’ei pur narra, e cosí stette un anno;
e tanto quest’oltraggio il cuor gli morse,
ch’egli a sé stesso un giuro fe’: che l’uomo
che dell’affanno suo fu prima origine,
schiavo farebbe con la sposa e i figli.
Né la parola usci vana; ma, come
puro fu reso, una guerresca turba
raccolse, e mosse contro la città
d’Èurito: ché costui solo fra gli uomini
era, diceva, del suo male origine.
Poiché, quand’egli, antico ospite suo,
alla sua casa, al focolare giunse,
assai con le parole, assai con l’animo
maligno l’investí, disse che frecce
invitte possedea, ma nella prova
dell’arco, indietro ai figli suoi restava: