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e sia pure contro un cane; e molti dei moderni e più fortunati lavori di Courteline si svolgono in tribunale.

Ma ciò non basta a spiegare l’immenso, incontrastato entusiasmo che accompagna ogni ripresa dell’«Edipo». Successo che tanto più meraviglia, quando si pensa che nell’«Edipo» non mancano talune caratteristiche che sembrerebbero più adatte a respingerlo.

Prima, l’odiosità del soggetto, non mascherata né attenuata, anzi quasi sottolineata dall’autore. Un moderno ed autorevolissimo critico, il Masqueray, ne rileva e biasima molti particolari; e in Francia, alle rappresentazioni, si suole eliminare più d’un brano che sembra incompatibile con la squisitezza (riferisco) del sentimento moderno.

Seconda, le inverisimiglianze. Non son poche, e furono più volte incriminate. Basterebbe questa, rilevata già da Aristotele: che, dopo tanti e tanti anni di permanenza in Tebe, e di vita coniugale con Giocasta, Edipo non sa nulla ancora della luttuosa fine di Laio.

Poi, nella condotta del dramma, saltano agli occhi parecchie illogicità. Per esempio, quando Edipo si accinge all'inchiesta sull'assassinio di Laio, e apprende che esiste ancora un testimone oculare, non dà ordine di farlo súbito venire innanzi a sé.

Ma la cosa forse più strana è che, a giudicare con freddezza critica, la stessa figura d’Edipo non può riuscire eccessivamente simpatica. Tutti proclamano la sua saggezza, ed egli è il primo ad esaltarla. Ma non ne dà prova. Ed anzi, sia pure costretto in parte dalla orrida tragicità degli eventi, si mostra ingiusto, illogico e dissennato, sia contro Tiresia, sia, specialmente, contro Creonte. Del resto, poi, di tutto il suo carattere non appare ben rilevata altra nota se non la somma tenacia, che in qualche punto sembra degenerare in testardaggine.