Pagina:Tragedie di Sofocle (Romagnoli) II.djvu/313

310 SOFOCLE 1111-1141

E tal morbo funesta la città
pel tuo disegno: ché gli altari e l’are
pieni son della carne, che vi spargono
cani ed uccelli, dell’esposto misero
1115figlio d’Edipo; e quindi avvien che i Numi
né preci piú né sacrifizi accettano
da noi, né fiamma dalle pingui cosce:
né uccello emette voci intelligibili,
se vorò d’uom trafitto il grasso e il sangue.
1120Perciò, figlio, fa senno: a tutti gli uomini
è possibile errar; ma sconsigliato,
disgraziato non è dopo l’errore,
chi, caduto nel mal, non vi si adagia,
anzi, cerca un rimedio. Invece, taccia
1125ha di stoltezza la protervia. Or tu
cedi al defunto, non colpire un morto.
Sarà prodezza uccidere un cadavere?
Pel tuo bene pensai, pel tuo ben parlo;
e dolcissima cosa è dare ascolto
1130a chi ben parla, quando utile arreca.
creonte.
Come arcieri al bersaglio, o vecchio, tutti
lanciate i dardi contro me: né illeso
rimasi pur dall’arte dei profeti.
Sí! Che questa genía da lungo tempo
1135mercanteggiato m’ha, venduto m’ha.
Fate lucro, su via, vendete elettro
di Sardi, se vi piace, oro dell’india;
ma nol potrete seppellir, neppure
se volessero l’aquile di Giove
1140le sue carni predar, recarle innanzi
al trono del gran Dio: neppure allora,