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Nell’«Antigone» si può vedere in pieno effetto la nuova drammaturgia di Sofocle. Antigone è l’eroina; e tale eroina, che il suo semplice gesto basterebbe ad empir di sé la tragedia; ma Sofocle non si stanca di cercare elementi e inventare particolari per arricchire l’azione. E la pone in fiero contrasto con la sorella. E le attribuisce un fidanzato, Emone, figlio di Creonte. Ed Emone, a sua volta, ha una madre che si uccide pel suicidio del figlio. L’azione, cosí allargata, perde, non c’è dubbio, d’intensità lirica; ma guadagna, è anche piú certo, d’intensità drammatica. Alle esecuzioni di Siracusa, si poté valutare nel cimento pratico il grande effetto dell’ultima parte, che, a giudicare teoricamente, sa un po’ di strascico, perché Antigone, l’eroina, è già spenta.
Anche il contrasto appare qui sviluppatissimo. Antigone è in lotta, prima con Ismene, e poi con Creonte. E Creonte, con Antigone, col proprio figlio Emone, e, infine, quando già l’azione volge al termine, col profeta Tiresia. E i dibattiti sono sempre svolti con larghezza d’argomentazioni, e con fitta insistenza di repliche.
Ma, anche qui, siamo súbito distolti dalla minuta disamina