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290-232 EDIPO A COLONO 139

290mio solamente, e non della persona,
non dell’opere mie: ch’io le patii
piú ch’io non le commisi, ov’io dovessi
di mio padre gli eventi e di mia madre
narrarti, onde ora tu di me sgomenti:
295ché questo io ben lo so. Ma come, dunque,
di trista indole son, che offesi offeso?
Sí, che, seppure fosse stata conscia
l’opera mia, non sarei stato tristo.
E invece, giunsi dov’io giunsi, senza
300nulla sapere: io sterminato fui
da gente che sapeva. Onde or vi supplico,
ospiti, per gli Dei, come or di qui
sorgere mi faceste, ora salvatemi.
Se gli Dei venerate, ora non sia
305che in nessun conto li teniate. Certi
siate, ch’essi distinguono, chi pio
è fra gli uomini, l’empio anche distinguono:
né scampo trova mai lo scellerato.
Intendi questo, e la felice Atene
310non offuscar, piegandoti a tristizia.
Ma poi che già nella tua fede il supplice
accolto fu, salvami adesso, guardami:
non dispregiarmi, il viso mio vedendo,
non gradito a mirar; ché sano e pio
315giungo, e vantaggio reco alla città,
e a questi cittadini. E quando il Sire
qui giunga, quale ei sia, che vi governa,
allora udrà da me, saprà. Frattanto,
contro me non volere essere tristo.
corifeo
320Reverenza sentir di tue preghiere