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Aiace entra, e va a piantare la sua spada in terra, fra i cespugli. Poi torna sul davanti della scena.



aiace
Sito è il ministro di mia morte, in guisa
tale, da riuscir, chi ben consideri,
quanto si può micidiale. È dono
d’Ettore, infesto a me fra tutti gli ospiti,
odioso a vedere; ed è confitto
nell’inimico suolo della Tròade,
ed affilato or ora con la cote
voratrice del ferro; e lo confissi
con cura assai, ché riuscir benevolo
a quest’uomo dovesse, e una sollecita
morte accordargli. Pronto io sono dunque.
Ed ora, o Giove, tu per primo assistimi,
come è pur giusto: un dono io da te bramo,
non grande: un qualche messaggero invia,
che la trista novella a Teucro rechi,
perché, quando io, su questo ferro intriso
di fresco sangue sia caduto, primo
ei mi raccolga, e dei nemici alcuno
pria non mi vegga, e ai cani ed agli augelli
preda mi gitti; io ciò ti chiedo, o Giove.