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SOFOCLE ix

servano in altri drammi, sono di particolari1. Sofocle era artista di genio, e non poteva rimanere nei cancelli della imitazione. Eschilo aveva trovata una sua formula drammatica, e, con la fecondità e la ispirazione costante che aveva anch’egli mantenuta sino alla tarda vecchiaia, aveva svolta secondo quella formula tutta la materia mitica. Materia nuova non esisteva, o conveniva raccogliere le briciole, le rarità, come fecero poi gli Alessandrini. Quindi il bisogno di mutare radicalmente, di trovare una formula nuova. Sofocle seppe trovarla.

I caratteri fondamentali ed essenziali di questa formula appariscono ben chiari già nella piú antica delle tragedie conservate, l’«Aiace», e si affermano via via, eccezion fatta per le «Trachinie», in tutti gli altri drammi. Ma piú limpidi risultano da un confronto fra due drammi di Eschilo e di Sofocle, che svolgono il medesimo argomento: «Le Coefore», e l’«Elettra».

Ricordiamo come si svolge l’azione delle «Coefore». Giunge Oreste, giunge Elettra, tramano, Oreste si nasconde in casa, uccide Egisto, uccide la madre, fugge invaso dalle Furie. Non un personaggio superfluo (Pilade dice in tutto tre versi), non una scena episodica, non un indugio, non un ostacolo. Lo svolgimento è nitido, diritto, fulmineo.

Nell’«Elettra», invece, troviamo molte divergenze caratteristiche.

Innanzi tutto, la moltiplicazione dei personaggi. Uno di essi, Crisotèmide, preso dalla tradizione mitica, ma adibito ad un ufficio che il mito non gli assegnava: l’altro, il pedagogo, inventato di sana pianta.

E accanto, e conseguente a questa moltiplicazione di per-

  1. Aiace, 125. 138. 168. 172 (stacco ritmico), 629; Elettra. 67. 270. 657, 806; Antigone. 216. 291.