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AIACE 13


E, in complesso, nell’Aiace, vediamo Sofocle ancora sotto l’influsso di antiche formule d’arte, e dominato dalla formidabile personalità d’Eschilo. Ma in ogni parte sentiamo fermentare il nuovo spirito del suo genio, che poi urge le antiche forme, per renderle meglio adatte alle necessità implicite nella nuova concezione drammatica, e che si vanno via via sviluppando e determinando con lo sviluppo dell’opera sofoclèa. Cosí, per esempio, le parti liriche cominciano ad uscire dal loro isolamento, per entrare in funzione drammatica.

È una fase che possiamo ravvisare nello sviluppo di molti grandi artisti, d’ogni arte. Fase breve, fase critica, nella quale sbocciano sovente i piú affascinanti capolavori: quelli che contengono come una essenziale fermentazione di frutti già colti e leggermente appassiti, e una ebbra trepidazione di germi futuri. Ultimi omaggi al passato, fervidi saluti all’avvenire. Appartengono, per esempio, ad una di queste fasi, la prima e la seconda sinfonia, la sonata per violino in do minore, il quartetto in do minore di Beethoven. Vi appartiene l’Aiace di Sofocle.

S’intende che molto differente è poi il rapporto che intercede fra Beethoven e Haydn, fra Sofocle ed Eschilo. Ma si sa che in fenomeni d’arte non esiste mai, l’identità, e non bisogna, dunque, cercarla, né — tanto meno —, quando non c’è, fabbricarla. Ma anche le analogie possono molto illuminare.

E in questa singolare posizione dell’Aiace, in questo suo carattere misto d’arcaismo e di novità, va cercata, credo, la ragione del fascino profondo che lo distingue fra tutti i drammi superstiti di Sofocle, anche superiori, e di molto, per magistero di psicologia, per dinamica drammatica, per profondità di sentimento e per incanto pittoresco.