Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
12 | SOFOCLE |
Una certa comicità è anche nelle battute onde Atena flagella il povero Aiace delirante. Ma è tanto sarcastica, che si risolve in assoluta amaritudine.
Notevole in questa tragedia, come in genere in tutto il teatro attico, è il campanilismo, o, meglio, la lusinga al campanilismo degli spettatori. Gli effetti non ne sono mai troppo favorevoli alle ragioni dell’arte. E spesso nocivi; come, per esempio, quando i compagni d’Aiace, di tra il lutto che opprime la loro anima, esprimono l’augurio:
Deh, fossi ove del Sunio |
Un simile voto, in bocca a Salaminii dell’età omerica, suona quasi grottesco.
Conviene poi notare il taglio originale della seconda parte. Già nelle Coefore d’Eschilo avevamo visto il coro abbandonare per qualche tempo la scena. Ma qui troviamo, non soltanto la mobilità, bensí anche il simmetrico frazionamento; e quella e questo utilizzati ai fini dell’arte. Il ritorno dei due semicori, con le loro repliche ben distinte, e con l’intervento di Tecmessa, riesce quanto mai pittoresco e musicale. E costituisce come una nuova párodos, il principio d’una nuova azione. E il senso di novità è accresciuto dall’arrivo di Teucro, personaggio finora non comparso. Insomma, questa seconda parte è un vero e proprio secondo atto, nel senso moderno, compreso il cambiamento di scena. E nei riguardi della drammaturgia antica costituisce una novità, che almeno per quanto possiamo giudicare dal materiale di studio che possediamo, va attribuita a Sofocle.