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anche questa forma essenzialmente nuova, si sia già composta in sagome precise.

Esaminiamo il contrasto fra Teucro e Menelao. Prima un paio di battute per ciascuno, quasi una presa di ferro. Quindi, un lungo discorso di Menelao, e, dopo un paio di versi del coro, un altro lungo discorso di Teucro, che, nella economia ritmica, quasi gli fa da contrappeso. Tre altri versi del coro, poi una lunga sticomitía (verso contro verso) dei due antagonisti: un fitto tintinnare di lame nello scontro accanito. Poi, otto versi di Menelao, ed otto di Teucro, altri due minori blocchi, che ancora oppongono le loro moli, e restituiscono il senso della simmetria. Due versi di Menelao e due di Teucro la precisano. Due del Coro, formano come il sigillo.

Questa elaborazione cosí complessa e precisa, che, a renderla in un grafico, offre una perfetta geometria, dimostra, mi sembra, che qui il drammaturgo non era ai suoi primi tentativi.

Il contrasto, che súbito segue, fra Teucro ed Agamènnone, è costituito solamente di due discorsi lunghi. Ma poi sopraggiunge Ulisse, che, in certo modo, si sostituisce a Teucro, e sviluppa il contrasto, prima in una serie di dicomitíe (due versi contro due), poi di sticomitíe, portandolo cosí alla sua piena integrazione formale.

Quanto alla forma, il contrasto è dunque giunto al suo completo sviluppo. Ma quanto alla intima dinamica, non abbiamo qui davvero la potenza che vediamo raggiunta in altre tragedie (classico quello, nell’Edipo re, fra Edipo e Tiresia). Viceversa, vi appare già la tendenza, che andrà poi prevalendo nei drammi di Sofocle, e che giungerà al colmo in quelli d’Euripide, di convertire l’urto passionale in dibattito forense. Cosí nel contrasto fra Teucro e Menelao.

E c’è, qua e là, qualche particolare artifizioso, come, per