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AIACE 7

in linea subordinata: bensí ne faccia sfilare molti dinanzi ai nostri occhi. Il poeta espone liberamente il mito nella successione cronologica dei suoi episodi. La drammaturgia d’Eschilo è una drammatizzata esposizione di miti. Con lui abbiamo il dramma al servigio del mito.

Sofocle si distaccherà da questa concezione per giungere ad un’altra assai diversa, e molto piú affine alla moderna. Ma nell’Aiace vi rimane ancora, almeno in parte, aderente. Inutile parlare delle fantasticherie di qualche critico, che ha addirittura creduta non sofoclea ed appicciccata la seconda parte.

Evidenti tracce d’arcaismo si osservano anche nella concezione della figura d’Aiace. Massime nella sua rigidità. Le circostanze della vita mutano d’intomo a lui. Egli rimane immobile, senza che una sola linea della sua figura si sposti, sia pure d’una quantità infinitesima. Né convenienze umane, né preghiere d’amici, né tenerezza di padre, né pietà di sposo valgono a raddolcirlo un solo istante. Involontariamente, ci torna al pensiero il famoso paragone onde Omero ha voluto caratterizzarlo (Il., XI, 558).

Come talvolta un ciuco testardo, nei pressi d’un campo, ruba la mano ai ragazzi: per quanto gli rompan bastoni sopra la schiena, v’entra, distrugge la mèsse profonda: giú coi bastoni i ragazzi gli dànno; ma poca è la forza.

Ma questa durezza diviene crudeltà verso Tecmessa. E odiosa crudeltà. Quando egli respinge con tanta asprezza le preghiere della misera, che, divenuta, anche a forza, sua sposa, non vede piú in lui l’uccisore dei suoi parenti, ma solo il padre del suo bambino, il nostro cuore si allontana da lui. Il continuato sarcasmo del discorso in cui dichiara di essersi