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Parallela alla presentazione di Tecmessa è quella di Aiace.

Con essa non entriamo ancora decisamente nella parte drammatica. Tutta la parte di Aiace è gittata in tre gruppi di strofe ed antistrofe, che nella loro forma precisa convogliano anche le brevi repliche del coro e di Tecmessa. E questa entrata strettamente lirica, mentre eleva súbito l’eroe ad una altezza piú che umana — quella degli eroi d’Eschilo — ci riporta alle origini, quando la tragedia era essenzialmente lirica.

E carattere di solennità e di arcaismo aggiungono gli esametri onde si concludono rispettivamente la strofe e l’antistrofe seconda, e che rievocano anche la originaria parentela della tragedia con la poesia epica.

Ed anche qui, la forma lirica importa un contenuto sintetico. Nelle effusioni di Aiace, traluce, da espressioni piú o meno enigmatiche, il tragico futuro. E lo vediamo disegnarsi, come un cielo nubiloso, sopra il buio baratro degli antefatti.

Ed anche questo potente effetto, è un riflesso della sublime drammaturgia d’Eschilo.

Da molti, quasi direi da tutti i critici è stato osservato che l’interesse della tragedia muore con la morte d’Aiace, e che tutta la seconda parte sa d’appiccicatura.

Ma l’appunto è ispirato ad un concetto moderno, e, tutto sommato, abbastanza ristretto, secondo il quale l’unità d’azione d’un dramma va cercata nell’aggrupparsi della materia intorno ad un solo personaggio, ad un solo evento.

Ma qui è il luogo di ricordare l’originario carattere dell’antica drammaturgia greca, quale io l’ho desunto dall’analisi delle tragedie d’Eschilo1. Si vede chiaro come il drammaturgo, postasi innanzi una vasta materia mitica, non trascelga questo o quell’episodio per intrecciarvene poi altri

  1. Vedi il mio libro Il teatro greco, pag. 55 sg.