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AIACE | 5 |
Ma il carattere arcaizzante non si limita a questa prima uscita anapèstica; anzi risulta dalla speciale disposizione di tutto il principio della tragedia, e proprio da certi atteggiamenti in cui Sofocle si distacca da Eschilo.
Infatti, mentre nell’Agamennone, dopo l’entrata anapèstica, séguita il canto intorno all'ara, e poi incomincia la parte propriamente drammatica, caratterizzata dai metri giambici, nell’Aiace, dopo il primo sistema intonato intorno all’ara, entra Tecmessa, e con lei s'apre la vera azione drammatica. Se non che, Tecmessa non parla in giambi, bensí in anapèsti. E in anapèsti risponde il coro. E dopo un dialogo, ecco una nuova strofa del coro, alla quale segue un brano anapèstico di Tecmessa. E poi l’antistrofe, che completa la simmetria del canto corale; e, infine, una nuova lunga battuta anapèstica di Tecmessa. E solamente dopo questa, entra infine la parte giambica.
Cosí, dunque, gli anapèsti che nelle tragedie eschilee (Supplici, Persiani, Agamennone) sono limitati al primo canto d’ingresso, qui straripano ad invadere, non solo il canto intorno all’ara, bensí anche il primo episodio drammatico. Il che, pure essendo, almeno per quanto possiamo dire nello stato attuale delle cognizioni, una novità, radica però la tragedia alla sua forma piú arcaica.
E la singolarità della forma influisce anche sui contenuto.
In tutta la parte che segue immediatamente al prologo, sino all’entrata decisamente giambica di Tecmessa (v. 276) sono esposti gli antefatti. Ed esposti concordemente alla natura dei ritmi, in forma lirica, e, dunque, sintetica: il coro parlando per via di vaghi cenni (perché non sa), Tecmessa quasi parlando a sé stessa e rievocando a sbalzi, come se la piena della passione non le consenta un racconto ordinato e preciso. E questa è proprio la maniera eschilea.