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4 SOFOCLE


III. - Molte parole e frasi dell’Aiace sono di pretto conio eschileo; ed è naturale che l’influsso del Titano d Eleusi fosse maggiore nei primi drammi del piú giovine emulo.

IV. - Alcuni critici hanno presunto che i gruppi di versi 892-914 e 938-960 fossero rispettivamente divisi fra dodici coreuti, i quali ne recitassero circa uno per ciascuno. Saremmo dunque ancora nel periodo in cui i coreuti erano 12, come in Eschilo (Sofocle li portò a quindici).

L’ultimo argomento non ha nessun valore. È fondato su un computo arbitrario; e poi, dilacera miseramente brani che non tollerano veruna disintegrazione: appartiene a quel gramo genere di critica che io ho stigmatizzata piú volte, che prendeva a calci — villana che s’illudeva d’essere ripulita — il senso artistico e il senso comune, che imperversò per molto tempo in Germania, e che anche da noi fu introdotta ed esaltata da qualche innocente. Il tempo ne va facendo giustizia.

Le altre hanno invece maggior valore. E specialmente la prima. Perché, non solamente per la forma, bensì anche pel contenuto, la pàrodos dell’Aiace arieggia la maniera eschilèa, sino a minuti particolari. Il confronto che i coreuti istituiscono fra il loro signore Aiace e un avvoltoio (v. 182), ricorda quello della pàrodos dell’Agamennone, dove gli Atridi sono paragonati ad

avvoltoi,

che, perso il travaglio dei figli,
dai nidi vegliati, nel cruccio
immane, sovressi i giacigli
s’aggirano, a guisa di turbine,

librati sui remi dell’ale.

E i gruppi di versi che rispettivamente contengono la immagine nelle due tragedie, e che ne sono dominati, lasciano una impressione simile.