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xxvi PREFAZIONE

anche questi altri elementi, in una visione piú ampia e complessa della drammaturgia. Visione imperniata sopra una figura dominante, sopra forti contrasti sostanziali e verbali, sopra una eloquentissima espressione delle passioni, sopra una partecipazione intensa del coro, che diviene cosí l’equivalente della folla shakespeariana, sopra un frequente intervento di persone umili, che, accanto alle tragiche, moltiplicano la varietà del dramma, introducendovi forti note caratteristiche, aderenti alla vita. E una mirabile scenografia è suggerita alla fantasia degli spettatori attraverso alle parole dei personaggi.

Una tale ricchezza si ritrova in Shakespeare. Ma in Sofocle c’è di piú il magico potere del ritmo, che nella sua rapina travolge ed assimila parole, note e movenze di ballo, ed eleva tutti gli elementi dell’opera d’arte in un cielo dove sembrano fondersi nella unità essenziale e divina.

Eppure, questa drammaturgia cosí varia e complessa, scapita, per certi riguardi, di fronte a quella di Eschilo, cosí lineare e monocorde.

La perenne mobilità psicologica dei personaggi, da cui pur deriva una piú viva e profonda umanità, con tenerezze e finezze ignote ad Eschilo; la loro moltiplicazione, e quella degli eventi, che provocano l’interesse per l’intreccio; la troppo acuta dialettica, in cui già, di frequente, essi sminuzzano e stemprano i loro sentimenti e le loro passioni; la frequenza di personaggi umili: sono come altrettanti pori, pei quali comincia a svaporare l’essenza tragica, cosí chiusa e capitosa nei drammi di Eschilo.

Né certo giovano a correggere questa declinazione gli sfondi scenici di Sofocle, che hanno piuttosto carattere idilliaco, né la concezione del coro, non piú musicale e filosofico.