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SOFOCLE xxiii

Eleusi. Egli è che quella concezione poteva germinare e svolgersi appieno soltanto in una mente filosofica e musicale: la mente di Eschilo. Sofocle era piú artista; e i suoi canti corali, meglio che a brani di una grande sinfonia progrediente omogenea a traverso e sopra gli episodi drammatici, come nelle tragedie di Eschilo, sono mirabili fregi, che ne allietano, con le purissime forme, la nitida architettura.

E nella economia del dramma, il coro viene per questa via ad assumere il carattere, che poi si sviluppa sempre piú in Euripide e nei suoi successori, di intermezzo fra i singoli episodi. Diviene una specie di velario sonoro, che consente alla fantasia degli spettatori i piú rapidi trapassi da momento a momento, e talora da luogo a luogo.

Ad un attento lettore di Sofocle non possono sfuggire alcuni tratti singolari che, da tragedia a tragedia, e indipendentemente dalle rispettive vicende, si richiamano, con un aria di famiglia.

Saranno le parole d’Edipo cieco:

È la mia
questa voce che svola e si perde?

Saranno quelle che pronuncia Filottete, già presso a cadere in deliquio, contemplando il cielo, che non era, per i Greci, sede delle anime elette:

filottete
                                             Recami adesso,
               recami là.