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xxii | PREFAZIONE |
in essi una tendenza a chiudersi in sé stessi, in una perfezione sobria e assoluta di immagini e di suoni, che li distingue e, in ultima analisi, li separa dal contesto drammatico. O, meglio, essi hanno tuttora rapporto col dramma; ma tale rapporto è sfruttato alla rovescia di come usava Eschilo.
Per esempio, ad un certo punto delle «Trachinie», esaltando il potere di Cipride, che adesso ha spinto Ercole verso Iole, il coro ricorda che anche per Deianira l’eroe sostenne un giorno una ben dura lotta con Acheloo. E la descrive (faccio un calco in prosa del testo).
«Di qui era il gagliardissimo fiume, l’apparizione del Tauro, quattro piedi e lunghe corna, Acheloo, giungente da Ercíade. E da Tebe bacchíade giunse, crollando il teso arco e le zagaglie e la clava, il figlio di Giove. E si lanciarono tempestosi l’un contro l’altro, bramosi della fanciulla. E sola nel mezzo, la voluttuosa Cipride invigilava lo scontro.» — «E fu allora un fracasso di armi e di archi e insieme di corna taurine, e un intreccio di membra, e un cozzar di fronti, e urli dell’uno e dell’altro. E la bella morbida fanciulla sedeva lungi su un clivo, attendendo il suo sposo.»
Nel brano è piú che evidente la compiacenza dell’artefice nel tracciare ogni particolare del quadro che s’impone alla sua fantasia. Questo è il suo compito precipuo: laddove, se badiamo alla pittura che, nella pàrodos dell’«Agamènnone», il coro fa del sacrificio d’Ifigenia, intendiamo súbito che il suo scopo principale è quello di mettere in luce l’orribile scempio onde s’è macchiato Agamennone. In Eschilo, la pittura è fatta per mettere in luce un nesso del dramma: in Sofocle il nesso è sfruttato per fare una pittura.
Cosí avviene che i brani corali di Sofocle, in sé stessi meravigliosi, e per finezza e finitezza superiori a quelli di Eschilo, non formano poi quel fregio omogeneo, non levano quell’arco misterioso che circonda i drammi del titano di