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SOFOCLE xxi

questo un modo frequente onde nel teatro, come un po' in tutta l’arte greca, si introducono le innovazioni.

Di fronte a queste due prime tragedie, si colloca poi un gruppo centrale, costituito dall’«Edipo re» dall’«Antigone», dalle «Trachinie», nelle quali la sfilata anapestica, la marcia, è abolita, e il coro si presenta ad intonare una invocazione ai Numi, con riferimento strettissimo agli eventi del dramma.

Un terzo ed ultimo gruppo è costituito infine dal «Filottete» e dall’«Edipo a Colono». In entrambi questi drammi, né sfilata anapestica, né gruppi strofici di contenuto lirico. Il coro entra senz’altro, d’improvviso, nel cuore dell’azione drammatica, come un personaggio qualsiasi (si vedano le introduzioni alle singole tragedie).

E tale è appunto la tendenza palese in tutto il teatro sofocleo: di spingere il coro dall’ufficio lirico all’ufficio drammatico. E non solo in queste due ultime, ma in tutte le tragedie, vediamo piegate a simile ufficio intere parti strofiche, che la tradizione voleva destinate all’ufficio lirico. E in qualche caso, Sofocle riesce a dare all’ingombrante strumento scenico una perfetta illusione di vita: come nella seconda parte dell’«Aiace» e nell’«Edipo a Colono». I coreuti vengono a fare una ricerca, e giungono alla spicciolata, e ciascuno di essi ha una qualche battuta. Il coro è divenuto folla (vedi introduzione all’«Edipo a Colono»).

Ma rimane la funzione lirica; e già osservammo quante risorse essa offriva ad un poeta di genio.

E diciamo subito o, meglio, ripetiamo il comune e giustissimo giudizio che nelle tragedie di Sofocle si trovano brani corali meravigliosi.

Se non che, questi canti non si amalgamano poi, non si richiamano e non si attirano reciprocamente, né con gli altri canti corali, né con gli episodi drammatici. Piuttosto, si svela