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FILOTTETE 115

patria. E non prega piú: ordina. Ma questa esigenza non è tenera, come l’altra. Nelle sue continue esitazioni, Neottolemo ha già svelata una certa abulia. Contro questa batte oramai con tutta la sua forza il carattere volontario e dominatore di Filottete.

E questa figura illustra dunque, meglio di ogni altra, a quale scopo supremo convergano insieme il genio oscuro o semicosciente, e la lucida coscienza artistica di Sofocle: a rappresentare i movimenti, la intima vita delle anime.

E questa continua mobilità riesce specialmente impressionante, perché ricamata sopra una trama d’immobilità e di durezza, per la quale Filottete si mostra degno fratello degli eroi d’Eschilo. E, forse, in questa armonia di contrasti, in questa concordia discors è da ricercare una delle principali ragioni del fascino che ci avvince alla figura di Filottete.

Solo un punto offende la sensibilità di noi moderni: ed è l’intervento di Ercole. Questa soluzione soprannaturale, tanto meno ci piace, quanto piú ovvia si presenta la soluzione umana. Se infatti Filottete aderisse alle logiche ed eloquenti preghiere di Neottolemo, la sua figura non ne riuscirebbe impoverita, bensi piú convincente e simpatica. Su questa linea il Goethe modificò il finale della sua Ifigenia di fronte a quella di Euripide.

Forse a Sofocle sembrò piú tragico questo irrigidimento della volontà di Filottete, cosí assoluto che valesse a scioglierlo solo l’intervento d’una divinità. Irrigidimento eschileo.

Ed è abbastanza interessante osservare come in questo finale d’una delle sue ultime tragedie, si incontrino gl’influssi del maestro e del giovine rivale di Sofocle.

E un altro vestigio euripidesco è da ravvisare nel tranello del finto mercante: tranello che, sebbene dia una certa animazione alla parte centrale, è però sostanzialmente superfluo all’economia drammatica. Toglietelo, e l’azione si svolge non meno logicamente, e con maggiore omogeneità. Ma, ef-