Pagina:Tragedie di Sofocle (Romagnoli) I.djvu/141

114 SOFOCLE

caverna che per tanto tempo ha visto il suo dolore, e vuole che Neottolemo lo accompagni.

Quando poi escono, lo coglie un accesso del male. E sviene, col terrore che Neottolemo possa abbandonarlo. Ma quando si rianima, lo trova fedelmente accanto a sé. E allora il giovinetto diviene per lui quasi un dio: egli l’adora. E, con osservazione finissima, Sofocle fa sì che in questa adorazione egli divenga quasi importuno. Neottolemo dice ai suoi compagni che aiutino l’infermo a camminare. Ma Filottete non vuole, perché teme che il fetore della sua piaga possa disgustarli; e vuole invece appoggiarsi proprio a lui, Neottolemo. E l’esigenza spesso impronta che tutti ci permettiamo verso le persone carissime, per la sicura coscienza che anche noi faremmo per esse gli stessi sacrifizi che esigiamo da loro.

Ed ecco, quando nell’animo suo, esulcerato dalla malignità umana, indurito dalla lunga solitudine, ha profusa tutta la sua luce questa improvvisa freschissima aurora, ecco il crollo fulmineo, incredibile. Neottolemo è un infame come tutti gli altri, è un mentitore, un traditore. — La desolazione del misero empie anche noi d’indicibile angoscia.

Ma neppure in questo sentimento di desolazione rimane fisso l’animo di Filottete. Già nella stessa confessione, e poi nelle esitazioni di Neottolemo, sono i germi di nuovi cambiamenti, di una risorgente speranza. La venuta di Ulisse scancella questa, e fa riavvampare il fuoco non mai spento dell’odio. Sinché, al ritorno ultimo di Neottolemo pentito, dopo una breve fase di incredulità alle sue nuove proteste, l’animo del derelitto si riapre di nuovo alla speranza, poi si adagia alfine nella sicurezza. Ed è qui notevole un altro finissimo tratto. Neottolemo ha già riconsegnato l’arco: però scongiura Filottete di venir di buon grado a Troia. Ma quegli non solo rifiuta, bensí richiama Neottolemo all’integra osservanza delle sue promesse, e vuole essere ricondotto alla sua