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112 SOFOCLE


E. infatti, trae nell’inganno il misero Filottete. Si presenta a lui, si svela per quello che è veramente, Neottolemo figlio di Achille, e gli fa credere che abbia abbandonato il campo dei Greci per un grave sopruso patito. Acquistata la sua fiducia, promessogli di ricondurlo in patria, riesce perfettamente nell’intento. Già Filottete gli ha consegnato l’arco, già lo segue verso le navi, quando la coscienza turbata strappa al giovine una esclamazione: «Ahimè! E adesso, che cosa dovrò fare?»

E alle angosciose domande di Filottete. che a mano a mano viene concependo gravi sospetti, dice esplicitamente tutta la verità. «Nulla ti celerò: conviene che tu venga a Troia, agli Achei, agli Atridi».

Ai lamenti, alle recriminazioni, ai lagni, alle preghiere di Filottete, si commuove, dubita, sta per cedere.

Ma sopraggiunge Ulisse, lo rampogna, lo dissuade. E perché Filottete non si vuole convincere a seguirli, dichiara che di lui non c’è bisogno, che basta l’arco; e trascina via Neottolemo. Ma questi lascia presso Filottete i suoi compagni. Mentre si fanno i preparativi per la partenza, tentino di convincere il misero.

Filottete s’irrigidisce nella sua volontà. Ma ecco torna improvvisamente Neottolemo. seguito da Ulisse. La lealtà dell’animo suo ha trionfato. Egli restituirà l’arco a Filottete. Gli argomenti di Ulisse non hanno piú efficacia, le rampogne non trovano ascolto, le minacce sono rintuzzate con piú fiere minacce. Come una lama piegata a forza, il carattere di buona tempra ritorna d’un balzo alla sua prima direzione.

E cosí, dinanzi ai nostri occhi, si è svolto, con tutti i suoi particolari, i suoi ricorsi, le sue esitazioni, una vera e propria crisi di coscienza. Ripensiamo un momento alla rigidità dei caratteri eschilei, e vedremo quanta distanza separi le due arti.

Ho parlato di crisi di coscienza. Tale è infatti, punto per punto, quella di Neottolemo. Ma la moderna o modernissima